ECONOMIA CIRCOLARE: SPERANZA O OPPORTUNITA’?
DALL’EUROPA UN NUOVO MODELLO ECONOMICO
Il consumismo ha messo fortemente sotto pressione crescente l’ambiente e le risorse globali. Era inevitabile che prima o poi diventasse necessario passare da un modello economico lineare basato su “produzione-consumo-smaltimento” a un modello circolare al cui ultimo tassello si trovino “riutilizzo, riparazione, riciclo, rinnovamento”.
Al di là delle problematiche di natura economica, politica, sociale, temporale e strutturale che rendono la transizione verso questo nuovo modello economico una grande sfida, occorre fare una precisazione sugli intenti e sulle finalità che hanno permesso a questa visione di prendere piede.
L’idea di economia circolare è nata in Europa non soltanto per promuovere un uso più intelligente, efficiente e lungimirante delle risorse limitate, ma principalmente per questioni economiche.
Da un punto di vista delle risorse esauribili, infatti, l’Europa è decisamente il fanalino di coda.
La transizione ecologica, passo obbligato per dare un futuro alla civiltà umana, non farà che acuire la dipendenza europea da altri Paesi per l’approvvigionamento di metalli ed elementi rari; di conseguenza, si è reso necessario individuare un modo che permettesse all’Europa di non perdere la propria leadership a livello internazionale, nonostante la scarsa disponibilità di queste materie prime ormai fondamentali e perno dell’economia mondiale.
In quest’ottica, il recupero degli scarti permette di ottimizzare le risorse disponibili e di ridurre la domanda delle materie prime che devono necessariamente essere importate.
Si evince che il modello ragionevole, etico ed ecologico su cui si basa l’economia circolare, quindi, abbia avuto successo principalmente per evitare all’Europa di perdere la propria influenza e il proprio potere economico, a vantaggio di nazioni emergenti che dispongono di materie prime preziose e forza lavoro a basso costo.
CIRCOLARITA’ VS SOSTENIBILITA’
La definizione stessa di economia circolare implica il concetto di condivisione, prestito, riutilizzo, ricondizionamento e riciclo, al fine di estendere il ciclo di vita dei prodotti e ridurre al minimo i rifiuti.
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Poiché nella sola Unione europea ogni anno si producono più di 2,2 miliardi di tonnellate di rifiuti, la possibilità che da essi si possa generare nuovo valore rappresenta un’opportunità straordinaria per risolvere contemporaneamente diverse criticità che affliggono i nostri Paesi. Se, poi, il riciclo delle materie prime critiche e l’ecodesign consentono di ridurre i consumi energetici e le emissioni di gas serra, oltre ai costi di produzione, allora questa opzione diventa davvero perfetta.
L’Italia, tra l’altro, può vantare numerosi esempi, in molteplici settori, di progetti di economia circolare di successo.
Tuttavia, per quanto i due concetti sembrino perfettamente sovrapponibili, in realtà circolarità non è sinonimo di sostenibilità. Infatti, un prodotto o un processo circolare non ha necessariamente un impatto ambientale più basso rispetto allo stesso prodotto o processo lineare. Per stabilire quale dei due abbia realmente un minore impatto sull’ambiente, è necessario effettuare un’analisi completa dell’intero ciclo di vita.
Di conseguenza, per quanto sia apprezzabile e desiderabile un incremento degli interventi a favore dell’economia circolare, le cui potenzialità devono senz’altro essere sfruttate al massimo, è importante che venga sempre tenuta in considerazione anche la sostenibilità dei prodotti e dei processi.
ECONOMIA CIRCOLARE E LOTTA ALLO SPRECO ALIMENTARE
Gradualmente in Italia stanno crescendo le imprese del settore agroalimentare impegnate nello sviluppo di prodotti, servizi e processi circolari, come si evince dalla pubblicazione Circular City Selfie, mappatura delle best practice di economia circolare legata al cibo (clicca qui per scaricare dal sito ufficiale).
Al di là dell’impatto ambientale, per quanto riguarda il settore Food qualsiasi progetto di economia circolare diventa una straordinaria occasione nella lotta contro lo spreco alimentare.
Nel mondo, più di 2 miliardi di persone sono a rischio di insicurezza alimentare o non dispongono di un’alimentazione sana e nutriente. Eppure, ogni anno, circa un miliardo di tonnellate di cibo viene buttato; si tratta, a valore, di circa 1000 miliardi di euro che finiscono in discarica, dove questi rifiuti si decompongono producendo gas serra, per non parlare dello spreco di risorse ed energia utilizzati per produzione, trasformazione e trasporto.
Riuscire a trasformare questo enorme spreco in una risorsa che possa avviare nuove attività imprenditoriali, generare profitti e creare nuovi posti di lavoro è un’eccezionale opportunità per creare comunità e Paesi più resilienti.
Tuttavia, oltre ad attivare progetti di economia circolare, è necessario partire dal settore agricolo, che necessita di cambiamenti radicali, efficaci e duraturi per riuscire a progredire nel processo urgente e inevitabile di transizione ecologica.
PERCHÈ L’AGRICOLTURA TRADIZIONALE NON È SOSTENIBILE?
Anche se è necessario produrre più cibo, la terra utilizzabile per le pratiche agricole è intrinsecamente limitata a circa il 20-30% della superficie terrestre del mondo.
Il degrado del suolo è uno dei problemi maggiori di questo settore e può generalmente essere classificato in due modi:
– erosione causata da vento e acqua;
– deterioramento chimico e fisico (perdita di nutrienti, materia organica, salinizzazione, acidificazione, inquinamento, etc).
La disponibilità di terreni agricoli, quindi, sta diminuendo progressivamente e vi è una carenza di siti adatti all’agricoltura proprio dove sarebbero più necessari, cioè in prossimità dei centri abitati.
L’agricoltura intensiva a pieno campo, inoltre, è sempre più dipendente dai combustibili fossili per:
• alimentare le macchine agricole;
• produrre e trasportare fertilizzanti e derrate;
• utilizzare le attrezzature per la lavorazione, l’imballaggio e lo stoccaggio dei prodotti.
Le emissioni di gas serra associate ai combustibili fossili si aggiungono a quelle legate alla produzione e all’utilizzo di fertilizzanti e pesticidi, oltre alle scorrette pratiche agricole; tutti questi elementi contribuiscono in modo sostanziale ad accrescere l’impatto ambientale del settore agricolo.
Vale la pena ricordare, anche, che il settore agricolo è colpevole attualmente di circa il 70% del consumo di acqua dolce in tutto il mondo e che il tasso di prelievo supera persino il 90% nella maggior parte dei Paesi meno sviluppati.
La scarsità d’acqua aumenterà nei prossimi 25 anni a causa della prevista crescita della popolazione. L’ONU ritiene che, con il mantenimento delle attuali tendenze, il deficit idrico globale salirà del 40% entro il 2030.